JOBS ACT: il quadro complessivo della legge di riforma

jobs2In queste ore, si discute molto della nuova riforma sul lavoro che, nelle intenzioni del governo, dovrebbe portare ad una maggiore armonizzazione del mercato nel tentativo di ridurne le incertezze e contribuire alle necessita’ dell’impresa. Secondo i calcoli della UE, da prendere sempre con molte cautele, il Jobs Act dovrebbe contribuire ad una variazione del PIL del 0.9% al 2020. Vediamone allora, i punti rilevanti.

Il contratto a tutele crescenti

Una delle novita’ piu’ importanti e’ senz’altro l’introduzione del contratto a tutele crescenti: in definitiva, per i nuovi assunti a tempo indeterminato, varra’ una forma differente dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori e una serie di tutele che aumentano al crescere dell’anzianita’ lavorativa. Al licenziamento per ragioni economiche verra’ corrisposto un indennizzo economico, anche nei casi in cui questo sia avvenuto senza giusta causa, mentre il lavoratore potra’ essere reintegrato solo per alcuni casi disciplinari e quando siano state accertate ragioni discriminatorie. L’indennizzo viene corrisposto in misura pari a due mensilita’ per ogni anno di anzianita’ di servizio, con un minimo di 4 e un massimo di 24 mesi.
Se, invece, il lavoratore accetterà la risoluzione immediata del contratto senza aspettare il giudizio di un tribunale, il risarcimento – che partirà da un minimo di due mesi e crescerà di un mese di retribuzione all’anno – sarà doppio. L’indennizzo senza possibilita’ di reintegrazione si applica anche ai licenziamenti collettivi senza giusta causa. Questo e’ un punto molto discusso, perche’, di fatto, introduce due categorie di soggetti, tra coloro che sono stati assunti con le vecchie regole e coloro che vengono assunti con il nuovo contratto, differenza che, ovviamente, svanira’ con il tempo.

Va ricordato che oltre al nuovo contratto, il governo ha stabilito, nella Legge di stabilita’, una riduzione fino a 24 mila euro su tre anni delle tasse per chi assume a tempo indeterminato, anche se, per adesso, il beneficio fiscale varra’ solo per il 2015. Gli effetti di questa riduzione del cuneo fiscale certamente porteranno un aumento delle assunzioni e va nella direzione di far costar meno il lavoro stabile rispetto a quello determinato, ma i cui effetti certamente non vanno confusi con quelli del nuovo contratto, nel senso che, nelle intenzioni del governo, con l’introduzione della riforma non s’intende combattere la disoccupazione, quanto piuttosto il regime di precarieta’.

Da questo punto di vista, va sottolineato che sarebbe bene o che il contributo fiscale venga mantenuto negli anni successivi oltre il 2015 o che venga ridotto il numero degli anni di rinnovo del contratto introdotto dal decreto Poletti del 2014, altrimenti, una volta che il beneficio fiscale dovesse scadere, il rischio puo’ essere l’effetto opposto, ovvero un aumento della precarieta’. E’ previsto, poi, che la contrattazione aziendale possa derogare dal limite massimo del 20% dei contratti a termine, sul totale dei contratti, prevedendo per lo sforamento solo una sanzione pecuniaria per l’impresa.
Si e’ incominciato, inoltre, a sfoltire la miriade di contratti temporanei, attraverso l’abolizione dei co.co.pro, che dovrebbero sparire dopo un periodo di transizione. Nelle intenzioni del governo, c’e’ il tentativo di ridurre le finte partite IVA e i contratti che maggiormente hanno reso il mercato del lavoro incerto per i lavoratori. C’e’ da dire che questo vale al momento solo per il settore privato e, per esempio, gli oltre 42000 collaboratori nel settore pubblico non saranno coinvolti nella riforma. Il governo, tuttavia, sta lavorando a un completo riordino della pubblica amministrazione ed e’ probabile che sara’ questa la sede appropriata dove il settore verra’ ridiscusso. Dunque, si introduce un nuovo grado di flessibilita’ con la nuova riformulazione dell’art.18. Di per se’ questo diventa un problema relativo solo quando non vi sia un sistema sufficiente e appropriato di ammortizzatori sociali. Su questo punto, il Jobs act cambia le regole per la maternita’/paternita’, il sussidio di disoccupazione e la Naspi che sostituisce l’Aspi e la mini-Aspi.

La NASPI
La Naspi riguardera’ circa 1.5 mln di lavoratori e abbassa i requisiti per accedervi. La Naspi è infatti il sussidio di disoccupazione universale che sostituisce dal 1° maggio 2015 l’assegno unico di disoccupazione introdotto dalla Riforma Fornero, ovviamente, per l’entrata in vigore si dovranno attendere i decreti attuativi e le disposizioni circa le modalità di fruizione da parte del Ministero del Lavoro di concerto con l’INPS a cui spetta l’erogazione dell’indennità agli aventi diritto.
Le risorse per finanziarie il nuovo sussidio universale Naspi sono già state inserite nel testo Legge di Stabilità 2015 e utilizzabili già dall’inizio del prossimo anno, quindi un anno prima che il Jobs Act entri a regime nel 2016, e serviranno a coprire l’assegno di disoccupazione per circa un milione e 200-300.000 lavoratori atipici.

requisiti da soddisfare per poter accedere a questo sussidio di disoccupazione sono diversi rispetto a quelli richiesti per i precedenti. Oltre a rivolgersi solo a persone che hanno perso il lavoro per volontà estranea alla loro (niente dimissioni quindi, tranne che per quelle per giusta causa e per le risoluzioni consensuali del rapporto lavorativo), è necessario avere queste caratteristiche:

  1. trovarsi attualmente in stato di disoccupazione;
  2. aver nei quattro anni che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione, aver versato almeno tredici settimane di contributi;
  3. aver la possibilità di far valere 18 giornate lavorative effettive o equivalenti, senza tener conto del minimale contributivo, nei 12 mesi anteriori all’inizio del periodo di disoccupazione.

La Naspi è corrisposta ogni mese per un numero di settimane che corrispondono alla metà di quelle in cui si sono versati i contributi degli ultimi quattro anni.

L’ASDI
L’ASDI è uno dei nuovi sussidi INPS stabiliti dal Governo Renzi per aiutare chi si trova in stato di disoccupazione. I destinatari di questo beneficio sono tutti i lavoratori che avendo già usufruito del sussidio per disoccupati Naspi, ma non avendo ancora trovato lavoro, si ritrovano senza un sostentamento e in condizione di disagio sociale. Il primo anno di applicazione, si avrà particolare riguardo per le famiglie in cui vi sono minorenni e per i lavoratori in età vicina alla pensione, ma che non hanno ancora maturato i requisiti per potervi andare. Il periodo massimo previsto è di 6 mesi. L’importo corrisponderà al 75% dell’ultimo trattamento percepito ai fini della NASPI, purché non superi la misura dell’assegno sociale.

Chiunque voglia percepire il nuovo assegno di disoccupazione ASDI dovrà aderire ad un progetto personalizzato dal competente servizio per l’impiego, che mirano ad aiutare la ricerca attiva di un posto di lavoro e possono anche consistere nella partecipazione ad iniziative di orientamento e formazione. Nel momento in cui si riceverà un’adeguata proposta di lavoro, è obbligatorio accettare. Sempre quest’anno è stato istituito il Dis-coll e la straordinaria Social card. Il primo è riservato ai lavoratori agli iscritti alla gestione separata dell’INPS, che non percepiscono pensione e non possiedono partita Iva.  La Social Card straordinaria, invece, è riservata solo ad alcuni comuni d’Italia, essendo un sussidio sperimentale, ma non è ancora possibile richiederla

Demansionamento
Uno degli aspetti più controversi e discussi del Jobs Act ai nastri di partenza riguarda la sostanziale riforma dell’art. 13 dello Statuto dei Lavoratori, che prevedeva il divieto, per il datore di lavoro, di adibire il dipendente a mansioni di livello inferiore a quelle sino a quel momento esercitate (c.d. “demansionamento”).

Con la riforma del lavoro introdotta dal Jobs Act, invece, sarà possibile, per il datore di lavoro, modificare unilateralmente le mansioni del dipendente in tutti i casi di “modifica degli assetti organizzativi”; una locuzione, quest’ultima, assolutamente ampia e, proprio per questo, suscettibile di applicazione impropria, se non appropriatamente regolata, da parte del principale, che potrà così eventualmente anche punire o quanto meno mettere a disagio il dipendente non gradito.

Il nuovo congedo parentale: cosa cambia?
Infine, la maternità arriverà anche per le co.co.co. In attesa della soppressione di questa figura contrattuale la bozza attuativa del Jobs Act, prevede, anche se solo per il 2015, una sorta di estensione ai parasubordinati del principio cd. di automaticità delle prestazioni in base al quale, anche se il datore di lavoro non ha versato tutti i contributi dovuti sulle retribuzioni, i dipendenti conservano comunque il diritto alle prestazioni. Lo stesso principio non vige per la gestione separata Inps, anche se al versamento dei contributi devono provvedere i committenti (al pari dei datori di lavoro) nel caso di co.co.co. e co.co.pro.

Con riferimento all’indennità di maternità, il provvedimento prevede che i lavoratori e le lavoratrici, non iscritte ad altre forme obbligatorie, conservano il diritto al trattamento economico anche in caso di mancato versamento dei relativi contributi da parte del committente.

Altra novità degna di nota riguarda l’estensione del congedo di paternità ai lavoratori autonomi, in caso di non fruizione da parte delle proprie congiunte, anch’esse lavoratrici autonome e imprenditrici agricole. Il T.u. maternità, si ricorda, prevede la corresponsione di un’indennità giornaliera a favore di tali lavoratrici per il periodo di gravidanza e per quello successivo al parto, per una durata di cinque mesi: due prima e tre dopo il parto. La riforma prevede che la stessa indennità spetti al padre, anch’egli lavoratore autonomo, per il periodo in cui sarebbe spettata alla madre lavoratrice autonoma o per la parte residua in caso di morte o di grave infermità ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.

Stessa estensione di tutela riguarda i professionisti. In base all’attuale disciplina, le libere professioniste hanno diritto ad un’indennità di maternità per i due mesi antecedenti la data del parto e i tre mesi successivi alla stessa. La riforma prevede che la stessa indennità vada riconosciuta al padre libero professionista per il periodo in cui sarebbe spettata alla madre libera professionista o per la parte residua, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.
In conclusione, come si vede, il provvedimento contiene molte luci ed alcune ombre, queste ultime soprattutto per quel che riguarda il demansionamento, i rischi derivanti dal decreto Poletti insieme al nuovo contratto, la necessita’ di intervenire ancora sulle forme contrattuali di collaborazione, ma soprattutto speriamo che siano sufficienti i finanziamenti per gli ammortizzatori sociali. Deve essere chiaro, pero’, che per un giudizio definitivo per un provvedimento, come questo, che va considerato nel suo insieme, e’ necessario aspettare che la riforma vada a regime. Il Paese stava aspettando da fin troppo tempo un riordino coerente del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali.

Sergio Gaudio
Segretario Partito democratico USA

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