Giorno della Memoria

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Carissimi,

mercoledi’ 27 Gennaio, ricorre il Giorno della Memoria, che ricorda le vittime dell’Olocausto e delle leggi razziali e coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati ebrei, nonché tutti i deportati militari e politici italiani nella Germania nazista.

L’Italia ha formalmente istituito la giornata commemorativa, nel medesimo giorno, alcuni anni prima della corrispondente risoluzione delle Nazioni Unite.

In molti altri paese si organizzano attivita’ in questa data, dalla lettura dei nomi dei deportati che furono uccisi nei campi di sterminio dei nazisti, alla lettura di testi da libri che trattano questo argomento, a mostre e concerti. Piu’ in basso troverete dei brani estratti dagli scritti di Primo Levi. Per la selezione ringraziamo Mico Licastro.

Come PD USA, volevamo ricordare questo giorno e invitiamo a farlo anche voi.

Pd USA


”On January 27, 1945 the Soviet Army entered and liberated the extermination camp of Auschwitz. This date was chosen to commemorate the victims of the Holocaust and to promote the fight against racism and any kind of persecution. Following the efforts of the Task Force for International Cooperation on Holocaust Education, Remembrance and Research, an intergovernmental organization founded in Sweden in 1998, January 27 was established in Germany and France to remember the victims of Fascism and Nazism. In the year 2000 the Italian Parliament voted the resolution to observe January 27 as “Giorno della Memoria”. Progressively all countries of the European Union followed through. In 2006 the United Nations adopted the commemoration of January 27 as International Holocaust Remembrance Day.”


 

BRANI DALLE OPERE DI PRIMO LEVI

Ero stato catturato dalla Milizia fascista il 13 dicembre 1943. Avevo ventiquattro anni, poco senno, nessuna esperienza, e una decisa propensione, favorita dal regime di segregazione a cui da quattro anni le leggi raziali mi avevano ridotto, a vivere in un mio mondo scarsamente reale, popolato da civili fantasmi cartesiani, da sincere amicizie maschili e da amicizie femminili esangui. Coltivavo un moderato e astratto senso di ribellione. […]

Come ebreo, venni inviato a Fossoli, presso Modena, dove un vasto campo di Internamento, già destinato ai prigionieri di guerra inglesi e americani, andava raccogliendo gli appartenenti alle numerose categorie di persone non gradite al neonato governo fascista repubblicano.

[…]  E venne la notte, e fu notte tale, che si conobbe che occhi umani non avrebbero dovuto  assistervi e sopravvivere. Tutti sentirono questo: nessuno dei guardiani, né  italiani né tedeschi, ebbe animo di venire a vedere che cosa fanno gli uomini quando sanno  di dover morire.

Ognuno si congedò dalla vita nel modo che più gli si addiceva. Alcuni pregarono, altri bevvero oltre misura, altri si inebriarono di nefanda ultima passione. Ma le madri vegliarono a preparare con dolce cura il cibo per il viaggio, e lavarono i bambini e fecero i bagagli, e all’alba i fili spinati erano pieni di biancheria infantile stesa al vento ad asciugare; e non dimenticarono le fasce, e i giocattoli, e i cuscini, e le cento piccole cose che esse ben sanno, e di cui i bambini hanno  in ogni caso bisogno. Non fareste anche voi altrettanto? Se dovessero uccidervi domani col vostro bambino, voi non gli dareste oggi da mangiare?

Da Se questo è un uomo, Primo Levi.

[…]La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso mezzogiorno del 27 gennaio 1945. Fummo Charles ed io i primi a scorgerla. stavamo trasportando alla fossa comune il corpo di Sòmogyi, il primo dei morti fra i nostri compagni di camera.

Rovesciammo la barella sulla neve corrotta, ché la fossa era ormai piena, ed altra sepoltura non si dava: Charles si tolse il berretto, a salutare i vivi e i morti. Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi.

A noi parevano mirabilmente corporei e reali, sospesi (la strada era più alta del campo) sui loro enormi cavalli, fra il grigio della neve e il grigio del cielo, immobili sotto le folate di vento umido minaccioso del disgelo.

Ci pareva, e così era, che il nulla pieno di morte in cui da dieci giorni ci aggiravamo come astri spenti avesse trovato un suo centro solido, un nucleo di condensazione: quattro uomini armati , ma non armati contro di noi, quattro messaggeri di pace, dai visi rozzi e puerili dotto i pesanti caschi di pelo.

Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa.

Così per noi anche l’ora della libertà suonò grave e chiusa, e ciriempì gli animi , ad un tempo di gioia e di un doloroso senso del pudore. […]

Ed è questo il tremendo privilegio della nostra generazione e del mio popolo, nessuno mai ha potuto meglio di noi cogliere la natura insanabile dell’offesa, che dilaga come un contagio. E’ stolto pensare che la giustizia umana la estingua. Essa è un’ inesauribile fonte di male: spezza il corpo e l’anima dei sommersi, li spegne e li rende abbietti: risale come infamia sugli oppressori, si perpetua come odio nei superstiti, e pullula in mille modi, contro la stessa volontà di tutti, come sete di vendetta, come cedimento morale, come negazione, come stanchezza, come rinuncia.

Da La Tregua, Primo Levi

“Many people are amazed that I do not feel hatred toward the German, and they should not be. In reality, I do understand hatred, but only ad personam. If I were a judge, although I would repress the hatred I might feel inside, I would not hesitate to impose the heaviest penalities, or even death, on the many guilty individuals who are still living today undistrurbed on German soil or in countries with suspect hospitality. But I would be horrified if even a single innocent person were to be punished for a crime he did not commit.

From the chapter Letters from Germans in The Drowned and the Saved

[…]Eccomi dunque sul fondo. A dare un colpo di spugna al passato e al futuro, si impara assai presto, se il bisogno preme. Dopo quindici giorni dall’ingresso, già ho la fame regolamentare, la fame cronica sconosciuta agli uomini liberi, che fa sognare dii notte e siede in tutte le membra dei nostri corpi; già ho imparato a non lasciarmi derubare, e se anzi trovo in giro un cucchiaio, uno spago, un bottone di cui mi possa appropriare senza pericolo di punizione, li intasco e li considero miei di pieno diritto. Già mi sono apparse, sul dorso dei piedi, le piaghe torbide che non guariranno. Spingo vagoni, lavoro di pala, mi fiacco alla pioggia, tremo al vento; già il mio stesso corpo non è più mio: ho il ventre gonfio e le membra stecchite, il viso tumido al mattino e incavato a sera; qualcuno fra noi ha la pelle gialla, qualche altro grigia: quando non ci vediamo per tre o quattro giorni, stentiamo a riconoscerci l’un l’altro.

Avevamo deciso di trovarci, noi italiani, ogni domenica sera in un angolo del Lager; ma abbiamo subito smesso, perché era troppo triste contarci, e trovarci ogni volta più pochi, e più deformi, e più squallidi. Ed era così faticoso fare quei pochi passi: e poi, a ritrovarsi, accadeva di ricordare e di pensare, ed era meglio non farlo.

Dalla fine del capitolo Sul fondo, in Se questo è un uomo

Questa, di cui abbiamo detto e diremo , è la vita ambigua del Lager. In questo modo duro, premuti sul fondo, hanno vissuto molti uomini dei nostri giorni, ma ciascuno per un tempo relativamente breve; per cui ci si potrà forse domandare se proprio metta conto, e se sia bene, che di questa eccezionale condizione umana rimanga una qualche memoria.

A questa domanda ci sentiamo di rispondere affermativamente. Noi siamo infatti persuasi che nessuna umana esperienza sia vuota di senso e indegna di analisi, e che anzi valori fondamentali, anche se non sempre positivi, si possano trarre da questo particolare mondo di cui narriamo. Vorremmo far considerare come il Lager sia stato, anche notevolmente, una gigantesca esperienza biologica e sociale.

Si rinchiudono tra i fili spinati migliaia di individui diversi per età, condizione, origine, lingua, cultura e costumi, e siano quivi sottoposti a un regime di vita costante, controllabile, identico per tutti e inferiore a tutti i bisogni: è quanto di più rigoroso uno sperimentatore avrebbe potuto istituire per stabilire che cosa sia essenziale e che cosa acquisito nel comportamento dell’animale-uomo di fronte alla lotta per la vita.

Noi non crediamo alla più ovvia e facile deduzione: che l’uomo sia fondamentalmente brutale, egoista e stolto come si comporta quando ogni sovrastruttura civile sia tolta, e che lo “Häftling” non sia dunque l’uomo senza inibizioni. Noi non pensiamo piuttosto che, quanto a questo, null’altro si può concludere, se non che di fronte al bisogno e al disagio fisico assillanti, molte consuetudini e molti istinti sociali sono ridotti al silenzio.

Ci pare invece degno di attenzione questo fatto: viene in luce che esistono fra gli uomini due categorie ben distinte: i salvati e i sommersi. Altre coppie di contrari ( i buoni e i cattivi, i savi e gli stolti, i vili e i coraggiosi, i disgraziati e i fortunati) sono assai meno nette, sembrano meno congenite, e soprattutto ammettono gradazioni intermedie più numerose e complesse. […]

Dall’inizio del capitolo I sommersi e i salvati in Se questo è un uomo

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