Lettera a Renzi dal gruppo Università e Ricerca

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La lettera di seguito è apparsa su numero de L’Unità del 11/3/2015. Coautori sono stati: Olga Epifano, Christian Di Sanzo, Claudio Fogu, Chiara Manzini, Roberto Celi, Alessandro Biglioli,Andrea Mattiello, Marco Broccardo. Tutti parte del gruppo Università e Ricerca del Partito democratico degli USA.

Caro Matteo,

ti scrivo a nome del gruppo Università e Ricerca del Pd degli USA. Abitiamo un po’ dappertutto, da San Francisco a Washington, da New York a Los Angeles. Siamo professori, borsisti, ricercatori e amministratori in agenzie di finanziamento. Abbiamo da due a trentasette anni di esperienza in USA. Insegniamo e facciamo ricerca su cose che spaziano dagli elicotteri alla storia dell’arte, dall’autismo alla letteratura italiana. Alcuni di noi gestiscono l’assegnazione di miliardi di dollari in finanziamenti pubblici alla ricerca, altri hanno amministrato dipartimenti.

Abbiamo apprezzato l’inclusione nella legge di Stabilità 2016 di un bando internazionale per l’assunzione di 500 professori da tutto il mondo, segno di una lodevole apertura alla globalità del sapere e desiderio di internazionalizzare maggiormente l’università italiana, insieme all’assunzione di 1000 ricercatori italiani. Nonostante ciò, siamo convinti che queste pur interessanti proposte non garantiranno il perseguimento sistematico della qualità nell’università italiana. Noi, per esempio, in questo momento non vorremmo tornare a lavorare in Italia perché manca un quadro coerente che leghi assunzioni e finanziamenti su principi di merito e di responsabilità delle scelte. Saremmo invece entusiasti di poter lavorare in un’università italiana se fossimo reclutati autonomamente da chi pensi
che le nostre qualifiche siano le migliori, sapendo che quella scelta farà una differenza in positivo o in negativo quando si tratterà di attirare fondi di ricerca o di impostare un curriculum didattico di qualità. Vorremmo anche contare su una revisione dei nostri progetti di ricerca nel modo più accurato e trasparente possibile. Tutto ciò richiede un ripensamento del sistema nel suo complesso.

Il prerequisito, dal nostro punto di vista, per valutare la strategia e la performance di un’università, è garantire un’autonomia decisionale sulla gestione di fondi, sul reclutamento dello staff, sulle scelte per la didattica. Il sistema negli USA è fondato su responsabilità personale e accountability per cui scegliere i migliori è una cosa ovvia quando le tue scelte hanno delle conseguenze. In Nord America, ogni università, statale o privata, sviluppa un piano strategico e programmatico che definisce le offerte didattiche e le linee di ricerca su cui investire e cercare finanziamenti. La valutazione della performance del professore assunto dal dipartimento è poi continua e determina gli scatti di livello. Le regole e la logica sono chiare: se un dipartimento assume persone non valide, le possibilità di successo nell’ottenere fondi di ricerca diminuiscono e con questo la sopravvivenza del dipartimento stesso, poiché il budget sarà minore. Il ricercatore può contare su finanziamenti federali erogati a scadenze regolari, assegnati in maniera competitiva e trasparente, in seguito ad un’attenta revisione, rinnovati solo se si sono ottenuti risultati specifici. Inoltre, la facile mobilità con possibilità di portare con sé i finanziamenti vinti è un’arma potente per sviluppare nuove idee ed evitare situazioni di “intrappolamento”. Esiste quindi un circolo virtuoso per cui il reclutamento dei migliori (siano essi americani o stranieri) conviene a tutti. C’è continua collaborazione tra università e industria per lo sviluppo d’idee innovative con investimenti governativi e privati.

Queste cose non sono impossibili in Italia.
Conosciamo numerosi ricercatori che fanno ricerca innovativa in Italia e sarebbero prontissimi a trasformare profondamente l’attuale sistema. Portare più ricercatori all’interno del sistema universitario attuale senza inserirli in un contesto adeguato dove possano competere per fondi di ricerca ricorrenti e stabili, non garantirebbe a questi ricercatori di raggiungere quei risultati di eccellenza che ci si aspetta. La nostra esperienza negli Stati Uniti ci ha dimostrato senz’ombra di dubbio che, se spesi bene, i fondi investiti dallo Stato per l’università e la ricerca producono enormi benefici per l’economia e la qualità della vita di una nazione. Senza un investimento paziente e generoso del governo degli Stati Uniti, ad esempio, non ci sarebbero stati Internet o il GPS.

Ti chiediamo quindi, di mettere in moto insieme alle assunzioni pianificate una vera riforma universitaria, e in questo senso, ti offriamo piena collaborazione nell’esaminare quegli aspetti del sistema universitario nord americano che possono essere inseriti in Italia.

Sergio Gaudio
Segretario Pd USA

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