Il Quadro Politico: il Senato e la situazione di Roma

di Sergio Gaudio
Segretario PD USA

cropped-pd-bandiere.jpgQuelli passati sono stati mesi estremamente intensi e, certamente, per il governo molto importanti. Non parlerò della legge di stabilità, preferisco rinviare la discussione a quando avremo un testo definitivo presentato al Parlamento piuttosto che commentare notizie non ancora certe al momento in cui scrivo.

Intanto, credo sia stata importante l’approvazione ormai in via definitiva del testo sul nuovo Senato. Una brevissima sintesi la trovate nella Box 1.

Devo essere sincero, a me questa nuova riforma del sistema della nostra Repubblica non piace molto. Muovo intanto dalle critiche alle ragioni più popolari a cui rispondo: 1) la presenza di una seconda Camera ha concesso, anche durante questo governo, di correggere errori e approssimazioni che avrebbero potuto avere conseguenze importanti, avvenute durante la lettura e l’approvazioni di leggi nella prima Camera; 2) ritengo che i risparmi effettivi, mantenendo con la nuova riforma, tutti gli uffici e i costi relativi, siano secondari e 3) se ci fosse un problema di tempi sugli iter di legge, sarebbe bastato variare i regolamenti parlamentari.

Tuttavia, al di là della mia posizione personale sulle motivazioni di base che hanno portato alla discussione della Camera alta, ovvero di uno che ha sempre vissuto sia in patria sia negli USA in un sistema con un bicameralismo perfetto, bisogna riconoscere che il monocameralismo è una idea della sinistra dai tempi della nascita della Repubblica, con Togliatti, fino a tempi più recenti ed è certamente un merito di questo Pd averlo finalmente realizzato. Io ritengo, come per la verità anche Renzi originariamente, che quella del monocameralismo fosse un’idea più lineare rispetto a questa forma uscita dal Parlamento. Non si può non osservare infatti che la discussione con gli altri partiti e con la minoranza del Pd ha aggiunto confusione a confusione, con il risultato di una soluzione, dal punto di vista istituzionale, molto pasticciata, specialmente per quel che riguarda l’elezione e i compiti assegnati ai nuovi senatori. Da questo punto di vista, certamente stride, dal momento in cui il Senato dovrebbe rappresentare le istanze territoriale, la perdita fra i suoi compiti del concorso paritario sulle leggi di interesse regionale, dal punto di vista degli italiani all’estero, l’assenza di una componente della circoscrizione fuori dai confini nazionali, seppure da noi più volte suggerita, e le modalità di elezione dei senatori, attraverso probabilmente un listino collegato alle elezioni regionali, che mi lasciano molto perplesso.

In ogni caso, il Parlamento si è espresso. Adesso saranno i cittadini a dover confermare il nuovo assetto della Repubblica, probabilmente a maggio 2016. Da quel momento, se gli italiani ratificassero il voto delle Camere, saremo davvero in grado di giudicare la bontà di quanto fatto.


 

BOX 1 IL NUOVO SENATO
Il numero dei senatori passa da 315 a 100. 74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 senatori nominati dal capo dello Stato per 7 anni. Il Senato non avrà più il potere di dare o togliere la fiducia al governo, che sarà una prerogativa della Camera. Il Senato avrà però la possibilità di esprimere proposte di modifica anche sulle leggi che esulano dalle sue competenze. Potrà esprimere, non dovrà, su richiesta di almeno un terzo dei suoi componenti e sarà costretto a farlo in tempi strettissimi: gli emendamenti vanno consegnati entro 30 giorni, la legge tornerà quindi alla Camera che avrà 20 giorni di tempo per decidere se accogliere o meno i suggerimenti. Più complessa la situazione per quanto riguarda le leggi che concernono i poteri delle regioni e degli enti locali, sui quali il Senato conserva maggiori poteri. In questo caso, per respingere le modifiche la Camera dovrà esprimersi con la maggioranza assoluta dei suoi componenti. Il Senato potrà votare anche la legge di bilancio: le proposte di modifica vanno consegnate entro 15 giorni e comunque l’ultima parola spetta alla Camera. Non saranno più eletti durante le elezioni politiche, ma in forma comunque diretta durante le elezioni regionali. Ad esempio attraverso un listino apposito o attraverso la nomina dei più votati. Il meccanismo sarà comunque proporzionale ai voti conquistati a livello nazionale – per evitare uno strapotere che già ci sarà alla Camera – e i neo-senatori dovranno essere confermati dal consiglio regionale.Il Senato avrà indietro alcuni dei poteri che gli erano stati sottratti, tra cui il più importante è quello in materia di politiche comunitarie. Come doveva essere all’inizio del percorso di questa riforma, insomma, il Senato si occuperà di enti locali italiani e anche di Europa. Avrà poi il ruolo di controllore delle politiche pubbliche e di controllo sulla Pubblica Amministrazione. Potrà infine eleggere due giudici della Corte Costituzionale.


 Una parola la dico sulla riforma della cittadinanza agli italiani. Ne parlerà il nostro responsabile, Vincenzo Pascale, più diffusamente, ma qualcosa voglio dirla anche io, perché questo argomento appartiene al ruolo da me ricoperto negli anni passati di responsabile per il Forum immigrazione del Pd di Roma. Ecco, io credo che, quello raggiunto da questo governo, sia un risultato storico. Si badi, comprendo benissimo i limiti di questa legge, tuttavia ritengo che l’aver superato gli ostacoli, la determinazione con cui si è raggiunto questo risultato, siano meriti indiscutibili e vadano davvero fatti i complimenti al partito e al governo. Questo rappresenta un passo di civiltà dovuto nei confronti di quasi un milione di ragazzi a cui viene finalmente riconosciuta l’appartenenza al nostro Paese.

L’ultimo punto che voglio toccare e proverò a farlo in modo ampio per una newsletter, è la vicenda di Roma e del sindaco Marino, vicenda che meriterebbe un capitolo a se stante, perché potrebbe avere conseguenze sulla politica nazionale.

Parto dall’inizio, perché spesso nei resoconti non viene riportato: la candidatura di Marino nasce per una mancanza sedimentata di una alternativa al modello Roma, conclusosi con Veltroni e che aveva causato la sconfitta alle elezioni precedenti e la vittoria di Alemanno a cui, negli anni di governo del centrodestra, si aggiunge quella del Pd di Roma incapace di produrre una nuova visione per la città e certamente una figura, dopo la scelta di candidare Zingaretti, la naturale scelta per il Campidoglio, alla regione Lazio, che potesse essere credibile. Le diverse candidature proposte sembrarono a tutti deboli e bastò che un “marziano” venisse proposto da una parte Pd, quella vicina a Bettini e Zingaretti stesso, per vincere dapprima la fase interna delle primarie  e, successivamente le elezioni e il ballottaggio con Alemanno.

A Marino si possono imputare diversi errori, tuttavia il primo elemento da sottolineare è che buona parte degli sconfitti delle primarie non perdonarono mai al sindaco di aver perso e questo produsse una prima spaccatura con il partito. Io ricordo che Marino era già in bilico dopo i primi mesi, cosa resa evidente soprattutto dai risultati delle elezioni europee, dopo i quali alcuni richiesero un riassetto di giunta: fra tutte, ricordo le note della Bonaccorsi. La situazione si calmò solo in seguito allo scoppio di Mafia capitale, in cui il Pd romano rimane coinvolto e Marino apparì dalle carte, a detta degli accusati, un ostacolo al diffondersi del gruppo malavitoso vicino a Carminati e Buzzi.

Tuttavia, la percezione diffusa a Roma era e continua a essere tuttora quella di un’amministrazione insufficiente che ha lasciato accumularsi i problemi, che non è stata in grado di pianficare in modo coerente gli interventi, alcuni dei quali certamente meritori e che rappresentavano una netta discontinuità con le amministrazioni passate. Una percezione, dal mio punto di vista, eccessivamente negativa anche perché Mafia Capitale e un buco di oltre 800 mln danno la misura del disastro che la destra alemanniana aveva lasciato e la difficoltà del compito. In generale però, le colpe di Marino non stanno soltanto nell’essersi inimicato i poteri forti, ma anche e soprattutto coloro che hanno sempre cercato di dare una mano all’amministrazione internamente e esternamente al Pd.

La goccia che fa traboccare il vaso, gli scontrini, non è altro che la chiusura di un cerchio che aveva ormai isolato politicamente il sindaco. E’ questo il segnale che lancia l’assessore alla legalità voluto in segno di discontinuità con Mafia Capitale, Sabella,  il quale chiede le dimissioni del sindaco. Questo, al di là della questione degli scontrini, certifica la fine della giunta. A questo punto, il Pd di Roma, con anche la mozione di sfiducia di SEL, formalizza l’assenza di una maggioranza per il sindaco.

Si dirà che il Pd sia nazionale e parte anche di quello romano mal hanno sopportato Marino, non vi è dubbio, tuttavia addebitare la fine della giunta al partito è operazione che non spiega fino in fondo la situazione: Marino ha perso perché è mancata la fiducia soprattutto dei romani, lo dimostrano i sondaggi sul suo operato passati e recenti. Del resto, che il Pd romano abbia sempre avuto paura delle prossime elezioni è un po’ un segreto di Pulcinella, visto che sempre dai sondaggi, oggi il M5S doppierebbe nei consensi il Pd. In tutto questo, si è arrivati al punto che si è atteso un casus belli, quello degli scontrini, perché il partito togliesse la fiducia al suo sindaco. Terreno scivolosissimo, francamente, perché difficile da giustificare di fronte ai romani, di fronte agli elettori, il mancato appoggio se la magistratura non trovasse elementi per agire contro Marino, ma è questo il vicolo cieco in cui il Pd di Roma si è infilato attraverso scelte poco coerenti, l’ultima delle quali l’improvviso cambio di posizione nei confronti del sindaco.

La situazione è in divenire, al momento, ma dal mio punto di vista, soluzioni deboli rischiano di peggiorarla ulteriormente. In questo senso, credo sia utile invertire la rotta, rimettendo la politica al centro e soprattutto ribadendo in modo chiaro il processo che ha portato alla situazione attuale e alle decisioni prese: i cittadini devono poter comprendere le ragioni delle scelte. Parallelamente, con molta umiltà, senza l’arroganza di questi mesi, va fatto ripartire un processo dal basso che porti idee e persone insieme, in modo da far emergere una idea di città e che faccia, soprattutto, emergere la politica che in tutto questo è mancata. Basterà per riconquistare la fiducia dei romani? Non credo, anche se è ancora troppo presto per poterlo dire. E’ anche vero però che se non si ristabilisce un percorso democratico interno, se non si riparte dalle idee, sarà difficile riportare un minimo di fiducia all’esterno. Certamente, Roma ha bisogno di rivedersi in una figura pulita, competente, che sappia dialogare con la città e la sappia coinvolgere anche nei processi di elaborazione. A tutti però deve essere chiaro che Mafia Capitale non è finita e che dunque ci sarà bisogno di uno sforzo enorme e molto coraggio per ripulire e rimettere in piedi un sistema incancrenito e che Marino, pur con tutti i suoi evidenti limiti, aveva sfidato. Al di là di tutto, io spero che la lezione di Roma sia d’esempio anche per il resto del partito, anche perché sarebbe un grave errore sottovalutare la portata dei risultati e i suoi riflessi sul piano nazionale, delle prossime elezioni nella Capitale.

Sergio Gaudio
Segretario PD USA

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