Agroalimentare Made in Italy, contraffazione e Italian Sounding: alcuni punti chiave

L’Expo 2015 e’ ormai iniziata da un paio di settimane e per un totale di 184 giorni i riflettori saranno puntati sulle varie attivita’ e declinazioni del tema “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”. Tra i vari concetti che verranno approfonditi durante questi sei mesi di Expo c’e’ anche quello della valorizzazione degli alimenti tradizionali, dei relativi aspetti culturali e qualitativi.

A questo proposito e’ utile ricordare che l’Italia, “casa” di Expo 2015, e’ il primo paese europeo per numero di certificazioni DOP (Denominazione di Origine Protetta), IGP (Indicazione Geografica Protetta) e STG (Specialita’ Tradizionale Garantita) con un totale di 273 prodotti al 23 aprile 2015 (fonte: MiPAAF), e che la produzione di prodotti tradizionali rappresenta un elemento di identita’ molto forte nel Paese; questa, abbinata alla ristorazione e al turismo, rappresenta un asset fondamentale per il sistema Paese soprattutto pensando al valore dell’export di prodotti Made in Italy che ha un peso importante nella bilancia commerciale italiana. Basti pensare che nel 2014 (dati Unione Coltivatori Italiani) le esportazioni di prodotti alimentari italiani hanno raggiunto i 34 miliardi di euro, con gli Stati Uniti a coprire una quota del 10% pari a quindi circa 3 miliardi di euro.

Un fenomeno piuttosto familiare a chi vive all’estero e’ pero’ la presenza aggressiva sul mercato di prodotti contraffatti e/o Italian sounding. Nella prima categoria possiamo trovare prodotti che imitano illegalmente marchi o ricette gia’ registrati, prodotti che dichiarano provenienza italiana pur essendo originari di altri paesi, o prodotti che vengono illegalmente etichettati come DOP/IGP/STG pur non avendo la relativa certificazione. Nella seconda categoria rientrano invece i prodotti in cui il marchio, il logo, il nome del prodotto o la ricetta richiamano l’Italia, anche con la presenza della bandiera tricolore o la sagoma dell’Italia o di una particolare regione; possono ad esempio essere utilizzati nomi generici che possono evocare la tradizione alimentare italiana, anche se puo’ essere assente ogni riferimento al processo produttivo originale, spesso a scapito della qualita’.

Mentre nel primo caso e’ possibile intraprendere azioni legali, nel secondo caso questo puo’ essere molto difficile in quanto i nomi o marchi utilizzati hanno spesso una accezione generica oppure sono volutamente ambigui, e questo rende quasi impossibile agire di conseguenza.

La presenza di prodotti contraffatti non e’ ovviamente una realta’ presente solo all’estero: un rapporto del Censis del 2012 afferma infatti che il mercato nazionale dei prodotti contraffatti ha una dimensione globale di poco inferiore ai 7 miliardi di euro, di cui 1,1 miliardi di euro per il settore agroalimentare, alcolici e bevande. Secondo l’OCSE, il valore mondiale dei prodotti contraffatti potrebbe raggiungere i 250 miliardi di euro.

Se consideriamo invece i prodotti Italian sounding, ottenere dei numeri precisi e’ piuttosto difficile proprio per la diffusione e l’ambiguita’ di questa categoria di prodotti, ma stime del 2009 della Camera dei Deputati riportano come il valore di questi prodotti (nel settore agroalimentare) possa raggiungere i 60 miliardi di euro, cifra elevata se si considera che come ricordato in precedenza il valore dell’export di prodotti alimentari italiani nel 2014 e’ stato di 34 mld di eur. Di questi 60 miliardi, ben 24 sarebbero riferiti al Nord America; con un po’ di approssimazione, dividendo questo numero per 3 mld (le effettive esportazioni di prodotti italiani negli USA) otteniamo un “indice di imitazione” pari a 8. In sostanza, il valore di mercato dei prodotti imitati e’ 8 volte maggiore delle esportazioni effettive. Questo indice fa capire quanto i prodotti italiani siano noti e apprezzati, ma anche quanto l’offerta di prodotti italiani sia attualmente inadeguata alla domanda mondiale, per ragioni varie tra cui la difficolta’ di organizzare la distribuzione, la mancanza di tutele legali e l’incapacita’ di promuovere misure protezionistiche nei mercati esteri.

I danni derivanti dalle contraffazioni e dalle imitazioni sono anche stati quantificati (dati Censis, 2012): la perdita in valore aggiunto e’ stimata a 5,5 miliardi di euro, mentre sarebbero 110.000 i posti di lavoro a tempo pieno non “attivati” a causa del mercato dei prodotti contraffatti. Ben 4,6 miliardi di euro sarebbe il valore delle mancate riscossioni di imposte dirette e indirette derivate dalla produzione del prodotto “legale” e dei beni e servizi indotti. Ci sono naturalmente dei danni di natura non direttamente economica: ad esempio, la diffusione di prodotti falsi o contraffatti in sostanza favorisce le imprese illegali. Inoltre, il consumatore che acquista tali prodotti godra’ di una minore soddisfazione al momento del consumo del bene, dato che il livello qualitativo non aderisce agli standard del prodotto “legale”; questo fenomeno andra’ a sua volta a generare un danno di immagine per il prodotto autentico, innescando un processo depressivo sul suo prezzo.

Entrando nello specifico degli Stati Uniti d’America, l’Italian sounding e’ maggiormente diffuso nelle aree metropolitane con comunita’ italo-americane e reddito pro-capite superiore alla media nazionale: il fenomeno e’ diffuso specialmente in Maine, Vermont, New Hampshire, Massachusetts, Rhode Island, Connecticut, New York, New Jersey, Pennsylvania, Delaware, Maryland e Wisconsin (centro della produzione di formaggi contraffatti e Italian sounding). Si tratta spesso di aziende fondate da italo-americani, successivamente assorbite da multinazionali che attuano strategie di distribuzione aggressive. I prodotti piu’ colpiti sono formaggi, pasta, sughi, pomodori pelati e conserve di pomodori, olio di oliva, aceti e salumi.

Negli Stati Uniti spesso pero’ i titolari di denominazioni specifiche come DOP e IGP trovano ulteriori ostacoli: nei principi della Common Law, infatti, la certificazione piu’ vicina alla DOP o IGP e’ il certification mark, che si applica ad ogni tipo di prodotto (non solo agroalimentare), ma che e’ spesso molto difficile da ottenere ed e’ conferito da autorita’ di certificazione che pero’ non eseguono controlli sulla qualita’ o l’aderenza a uno standard o a protocolli definiti (come nel caso delle DOP e IGP). In sostanza, le denominazioni DOP/IGP/STG non sono riconosciute in Nord America, mentre lo sono ad esempio in Cina. Questa limitazione e’ ovviamente uno spunto di riflessione importante nella definizione dei requisiti per gli accordi TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) attualmente in discussione.

Nello specifico, nei cosiddetti accordi TRIPs (The Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights) adottati a Marrakech nel 1994 e proposti con l’intento di tutelare le indicazioni geografiche si trovano deroghe per prodotti con nome “generico”, quindi entrato nell’uso comune (ad esempio, il nome “Asiago”) oppure clausole che tutelano i produttori che piu’ o meno in buona fede hanno utilizzato delle denominazioni specifiche prima dell’entrata in vigore degli accordi TRIPs (un esempio eclatante e’ un produttore canadese che e’ stato autorizzato ad utilizzare il nome Parma per il suo prosciutto prodotto in Canada).

Riassumendo, si puo’ dire che i fenomeni di contraffazione e imitazione confermano che il mercato del Made in Italy originale potrebbe essere piu’ ampio, e potrebbe una spinta all’intera economia del paese. Nel caso specifico degli Stati Uniti, sarebbero auspicabili strategie di tutela, come ad esempio clausole relative al marchio nei contratti di distribuzione, oppure alla diffusione di campagne di pubblicita’ comparativa (come gia’ fatto dalla Francia per lo Champagne, ad esempio)

Alice Vezzaro (Circolo PD NewYork)

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